Le stampelle dovevano essere appese tutte nello stesso verso. Gli dava fastidio che fossero sfalsate. Così ogni settimana spendeva un po' di tempo a raddrizzarle.
Ne valeva la pena -pensava- perché conferiva al guardaroba un buon senso di ordine. Non aveva alcuna motivazione pratica, o meglio l'aveva solo per sé. Era una sorta di miglioramento meccanico della sua giornata.
Un giorno (quando sarebbe morto) quei vestiti sarebbero entrati a far parte della tattilità di qualcun altro. Ma finchè era vivo, il suo guardaroba doveva restare così. Un sistema variabile se non per le aggiunte di nuovi acquisti.
Non buttava via niente. Negli ultimi anni si era convinto che la vita si potesse ricapitolare negli oggetti. E in particolar modo nei vestiti, i maglioni le camicie i bottoni i risvolti le cuciture, le tasche. Erano tutti luoghi che aveva vissuto e che gli appartenevano, la collezione dei suoi frammenti.
Ora li metteva tutti in fila di fronte a sé come un piccolo esercito. Ognuno raccontava un giorno, una pioggerellina, un pomeriggio, ecc.
Poi un istante in cui la velocità tuonava e fischiava e lo riportava indietro - un paio di gambe di donna - Celeste - seduta al bancone del bar di Via...
Perché una volta anche i corpi avevano avuto un motivo di essere. Nella nudità del letto, le scarpe buttate sul pavimento, la luce che filtra tra le persiane attraverso la penombra, l'aria di cucina dopo cena, la fatica dei soldi, il lavoro, ecc.




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filippo rosso


#026

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